Sono single. Se non fosse per questo non ci sarei mai stato in quel locale, allo spettacolo del giovedì; con voi voglio essere onesto. Pensai sarebbe stata una buona idea, pensai che magari avrei potuto conoscere una ragazza, o un ragazzo, o qualsiasi altra cosa. Ero single da così tanto tempo. Ero disperato. Il locale era carino, accogliente, aveva un’atmosfera familiare. Gli olandesi direbbero gezellig per esprimere meglio quello che intendo, ma gezellig non si può tradurre in nessun’altra lingua. Oltre a essere gezellig, il locale era anche pieno. Presi posto sedendomi sulla prima sedia libera che mi capitò a tiro e iniziai a guardarmi intorno, notai con piacere l’elevata concentrazione di ragazze carine, ma non riuscivo a incrociare lo sguardo con nessuna di loro. Se anche ci fossi riuscito poi, cosa avrei fatto? Sarei andato lì, con fare ammiccante, giocando un “Hey, come ti chiami? Vieni qui spesso?”. Per carità, anche alla disperazione c’è un limite, e poi il problema non si poneva perché io guardavo loro, ma loro guardavano solo quel tizio sul palco, con la barba, tant’è che pensai che forse avrei dovuto fare il comico anch’io. Mentre mi dicevo che non ero mica sicuro che ne sarei stato capace, fui preso dall’angoscia: e se si vedesse che sono single? Poi però mi dissi che forse non sarebbe stato necessariamente un male, molto peggio sarebbe stato se mi avessero scambiato per un uomo sposato, anche se a molte donne piacciono gli uomini sposati. Ma io sposato non ero.
Non mi restò altro da fare che seguire lo spettacolo e c’era quel tizio sul palco, con la barba. La gente rideva molto e questo lo sapevo perché li sentivo, ma li vedevo anche perché ogni tanto cercavo qualche sguardo da incrociare. L’ilarità si spandeva ovunque e al contatto con l’aria si gonfiava, il locale diventava sempre più piccolo ma di ilarità non ne avevano mai abbastanza e allora iniziarono a battere le mani, come a volerla comprimere per farcene stare dell’altra. Mi domandai che cosa mi fossi messo in testa decidendo di andare lì, mi domandai in che cosa sperassi. Pensavo veramente che la sola evasione dalla mia auto imposta clausura mi avrebbe dato indietro la mia vita? L’unica cosa certa è che lì dentro non potevo più stare. Mi alzai in piedi, il mio corpo si proiettò verso l’unica via di fuga; i muscoli irrigiditi quasi non mi fecero percepire l’impatto della spallata con la quale travolsi qualcuno mentre cercavo di guadagnare la porta. Senza fermare la mia corsa mi voltai per scusarmi, ma l’altra figura sembrava non essersi accorta di nulla.
Stavo percorrendo la strada di ritorno verso casa quando ripensai al fatto che ero single. Ero single da tanto tempo. Ero disperato. Poi mi venne in mente quel tizio sul palco, con la barba e iniziai a ridere, a ridere. Ridevo sempre più forte, ridevo così forte che mi dimenticai perfino che ero single e continuavo a ridere, a ridere che tutti si giravano a guardarmi. Probabilmente pensarono che fossi matto, ma a me non interessava mica. Ridevo così forte che a un certo punto mi dimenticai di respirare; e così crepai. Per mia fortuna, proprio in quell’istante, stava passando per quella stessa strada un luminare della medicina che mi raccolse, mi portò a casa sua, e mi risuscitò. Questa è l’unica cosa che per diversi giorni seppi di me, poi iniziai a ricordare. Prima di tutto mi ricordai che ero single, e la cosa mi rattristò molto. Ero disperato. Poi mi tornò in mente la serata in quel locale, di giovedì, e quel tizio sul palco, con la barba e iniziai a ridere, a ridere.